Vivere felici e scontenti.
La prima Matrix che disegnai era assolutamente perfetta, un’opera d’arte, impeccabile, sublime; un trionfo eguagliato solo dal suo monumentale fallimento. L’inevitabilità del suo destino mi è ora evidente quale conseguenza dell’imperfezione intrinseca dell’essere umano. Perciò la riprogettai basandomi sulla vostra storia per rispecchiare con accuratezza le espressioni grottesche della vostra natura.
L’Architetto (Matrix Reloaded)
Ricordate la trilogia di Matrix? L’affermazione riportata sopra viene espressa dal misterioso personaggio dell’Architetto, creatore del software Matrix, l’universo virtuale fittizio in cui le menti umane vivevano ignare mentre i loro corpi erano altrove, usati come fonte d’energia per alimentare le macchine nel futuro distopico in cui l’opera è ambientata. L’architetto svela come una prima versione di Matrix fu fallimentare in quanto troppo perfetta e le menti umane, imperfette per definizioni facevano fatica ad adattarvi. In altri momenti della trilogia, infatti, scopriamo che la prima versione era concepita come una specie di paradiso privo di sofferenza ma gli essere umani non erano capaci di viverci.
La mente non è progettata per essere felice a lungo.
Il titolo può sembrare cinico ma in realtà descrive semplicemente la realtà che possiamo osservare nella nostra vita o in quella degli altri. Non dobbiamo mai dimenticarci di essere il frutto di una lunga e lenta evoluzione avvenuta nel corso dei millenni ma rimaniamo sostanzialmente gli stessi homo sapiens che vivevano nella savana; come è stato descritto in altri post quindi, i nostri modi di reagire sono fortemente legati alla storia del modo in cui la nostra mente si è adattata al mondo circostante. Comprenderete come sia molto adattivo “prepararsi al peggio” piuttosto che “crogiolarsi nella gioia” perché la vita, soprattutto nel paleolitico imponeva drammatici e repentini cambiamenti nei destini dei nostri antenati: predatori, mancanza di cibo, siccità, incidenti…
Nel loro tentativo di adattarsi gli esseri umani troppo spesso hanno creato le premesse ad ulteriore sofferenza e precarietà basti pensare alla nostra storia più recente fatta di guerre e di grandi ingiustizie…
Anche i più fortunati che sono nati in un paese occidentale come il nostro, comunque vivono una vita tutt’altro che stabile e piena di imprevisti e quindi l’obiettivo di una felicità perpetua rimane utopico; purtroppo ognuno di noi sa che per quanto possiamo sforzarci le cose belle finiscono e non dobbiamo adagiarci troppo. Non è pessimismo, ha a che fare con l’entropia dell’universo e con la complessità di quel grande mistero che si chiama vita. Il nostro mondo interiore ovvero la nostra mente non è altro che lo specchio di quello esteriore e quindi non c’è troppo da stupirsi se non è fatta per adattarsi alla felicità.
Se io fossi milionario sarei felice?
Immagino le obiezioni affezionati lettori del blog; qualcuno di voi penserà che se diventasse milionario riuscirebbe ad essere felice per sempre perché non dovrebbe più preoccuparsi del lavoro e potrebbe comprare tutto ciò che desidera. Nessuno vuole negare che risolvere problemi materiali che spesso rendono molto difficili alcune esistenze possa fare la differenza ma non da nessuna garanzia sul mantenimento perpetuo della felicità. Se pensate a molte persone estraetemene ricche, infatti, vedrete come fatichino ad accontentarsi e cerchino sempre qualcosa di nuovo che possa renderli ancora più felici; non sempre questo atteggiamento ha a che fare con la cupidigia ma affonda le radici nella nostra mente solutrici di problemi sempre un po’ ansiosa e paranoica.
La felicità non si trova scappando dalle emozioni negative.
Siamo indotti a pensare che la felicità, ridotta ai minimi termini, significhi provare sensazioni positive ed allontanare quelle negative. Questa premessa spinge purtroppo le persone ad “evitare” quanto più possibile sensazioni, pensieri e contesti che ritengono negativi e “accumulare” quante più sensazioni positive. Questo presupposto sbagliato spinge a creare quello che gli psicologi dell’ACT chiamano l’illusione del controllo ovvero pensare di riuscire a controllare tutto il nostro mondo interiore fatto di pensieri, ricordi, emozioni e impulsi.
Accettare ed aprirsi.
Molti dei processi terapeutici dell’ACT sviluppano abilità di mindfulness proprio per renderci maggiormente flessibili ed accettare quindi l’idea che non possiamo controllare il nostro mondo interiore. Dobbiamo imparare a rinunciare alla lotta con le emozioni negative o con i ricordi dolorosi ma a lasciarli andare; ai miei pazienti dico sempre che dobbiamo aprire le porta alle sensazioni negative in modo che poi possano uscire dalla finestra, se passiamo invece la giornata a presidiare la porta chiusa rimarremo bloccati nell’illusione del controllo. Pesante ai lutti che inevitabilmente dobbiamo affrontare nella vita, il rito del funerale risponde proprio ad una logica di accettazione, piangiamo i nostri cari e non ci illudiamo che siano ancora in vita; molto spesso chi fatica a superare un lutto è proprio perché cerca di far finta che la persona non sia morta; apparecchia la tavola come se fosse in vita, parla di lei al presente…
Impariamo ad aprirci alle nostre sensazioni, sia belle che brutte, accettiamo questo stato di cose ed impariamo ad osservarle in maniera non giudicante. Provateci, non dobbiamo pretendere di farlo sempre o di riuscirci perfettamente ma può fare la differenza anche solo sapere che esiste un altro modo di affrontare quel vissuto di cui vorremo sbarazzarci.