Il peso di fare di tutta di erba un fascio.
Una delle cose più frequenti nella vita di molte persone è la tendenza a voler fare di tutta l’erba un fascio. Quest’attitudine porta, purtroppo, a frettolose semplificazioni che possono generare discorsi falsi e ingiusti che possiamo ritrovare nella politica ma anche nel bar sotto casa. Nell’articolo non voglio affrontare questi contenuti ma uno dei meccanismi (ci sono altri meccanismi alla base di ragionamenti del genere) alla base di questo schema che scaturisce in maniera del tutto naturale nella nostra mente. Ricordatevi che la nostra mente è frutto di una lunga evoluzione e semplificare e risolvere sono spesso inevitabili meccanismi adattivi. Provo a farvi un piccolo esempio che dimostra come fare di tutta l’erba un fascio può essere molto utile: se troviamo una cozza maleodorante e neausebonda in un bellissimo piatto di spaghetti allo scoglio non esiteremo un secondo a rimandare tutto indietro e, probabilmente, eviteremmo un brutto mal di pancia o peggio; abbiamo generalizzato le proprietà negative della cozza all’intero piatto. Generalizzare è inevitabile e molto spesso utile. Generalizzare sempre comunque e in ogni circostanza, invece, genera pregiudizi e diventa disadattivo. Anche in questo caso a fare la differenza è la nostra consapevolezza di questi meccansimi e la conoscenza dei grossi limiti che può darci rinunciare a fare dei distinuguo in determinate circostanze. Quando generalizziamo in maniera rigida, o disfunzionale, siamo vittime di un frequentissimo bias cognitivo: ipergeneralizzazione.
IPERGENERALIZZAZIONE: bias cognitivo in cui una persona considera un solo evento (o un comportamento o un’esperienza) negativo e ne ricava una regola generale senza verificarne la validità. Il pensiero e il linguaggio sono contraddistinti da espressioni ricorrenti e generalizzanti come “sempre”, “in nessun caso”, “in ogni circostanza”, “mai”, “nessuno”, “tutti”.
Un mio caro amico, nonchè brillante formatore, mi ha raccontato come durante una sua esperienza lavorativa negli Usa dovette cambiare un atteggiamento che rischiava di fargli vivere con troppa ansia il suo soggiorno negli States. Lavorava nel settore Risorse Umane di un’importante multinazionale e fu accolto con molto calore e disponibilità; il suo responsabile oltre che una persona molto competente sembrava tranquillo e ben disposto nei suoi confronti. Quando il suo responsabile lo fa chiamare, il mio amico si reca tranquillamente nel suo ufficio e rimane di sasso quanto John (il nome di battesimo con cui si faceva chiamare da tutti) gli esprime tutto il suo biasimo per il pessimo lavoro fatto rispetto ad un progetto di cui il mio amico si era dovuto occupare. John ha elencato nei dettagli tutte le manchevolezze di quel lavoro e lo ha invitato a rifarlo. Smaltita la rabbia e la frustrazione il mio amico ha iniziato ad accettare l’idea che forse non era adeguato e che ormai «mi considera un incapace mangiaspaghetti». Passano un paio di giorni dove si consolida in lui l’idea che è considerato inaffidabile e poco preparato ma, nonostante tutto, il mio amico apporta le modifiche al suo lavoro partendo dalle critiche che John gli aveva mosso. Un pomeriggio, mentre stava ultimando alcune pratiche, il mio amico intravede John arrivare verso la sua scrivania insieme ad un’altro dirigente della società e presentarglielo «Questo è …, un collega italiano molto brillante che sta ultimando per noi il progetto xyz». Il mio amico a quel punto va in confusione e pensa che John sia un manipolatore e che si prenda gioco di lui. Per pura coincidenza rivede Jonh qualche ora dopo insieme ad altri colleghi che si erano fermati in un locale a festeggiare il compleanno di un altro collega (rimane sorpreso anche che un “capo” si fermi a brindare con i “sottoposti”). Complice l’atmosfera o i cocktails, il mio amico, ritrovatosi a tu per tu con John, gli chiede apertamente: – «Jonh come mai mi hai lodato con l’altro dirigente se il mio lavoro ti aveva fatto schifo l’altro giorno?» e John: – «…io ti reputo una persona molto intelligente e brillante e le tue idee sono molto innovative e proprio per questo quando hai prodotto un lavoro che non reputavo sufficiente te l’ho fatto notare, così che tu potessi migliorarlo, non capisco perchè ti stupisci, tu non fai critiche alle persone che stimi?». Quando il mio amico mi raccontò l’aneddoto subito intravidi il bias dell’ipergeneralizzazione: se critichi il mio progetto dicendo che è fatto male vuol dire che sempre tu giudicherai male il mio lavoro. Sicuramente un constesto culturale come quello italiano favorisce questo tipo di bias perchè facciamo purtroppo fatica a criticare i comportamenti anzichè le persone e, di conseguenza, ogni critica che riceviamo tendiamo a riferirla al nostro valore personale anzichè al nostro comportamento.
Quante volte vi è capitato di preoccuparvi delle critiche ricevute? Di ritrovarvi sul divano di casa vostra a rimuginare sulla frase della vostra collega che sottolineava un vostro difetto? Di pensare che il vostro dirigente non vi considera? Come spesso sottolineato su questo blog non importa se le critiche che avete ricevuto siano VERE o se i pensieri negativi su di voi, che attribuite agli altri, siano VEROSIMILI; quello che è veramente importante è che voi siete persone meravigliosamente complesse e, di conseguenza, più farete e più sbaglierete, più diventerente efficaci e più attirerete critiche su di voi! Imparate ad accogliere le critiche e separate quelle utili e costruttive da quelle inutili e distruttive, non assumetevi il peso di fare di tutta l’erba un fascio ma differenziate.
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