Come superare la paura di volare in 3 settimane!
Devo essere sincero, odio le scadenze ravvicinate e quando Matteo è entrato nel mio studio dicendomi che avrebbe dovuto superare la paura di volare in 3 settimane per andare oltre oceano non ero contento ma ho pensato: proviamoci!
Premessa deontologica.
A scanso di equivoci uno psicoterapeuta decide di cominciare una terapia con chicchessia soltanto se ritiene di essere realmente di aiuto alla persona che si è recata nel suo studio per essere aiutata. Perché questa premessa? Non tutte le persone che hanno paura di volare possono superarla in 3 settimane e, in generale, è sempre meglio avere tempi più lunghi e poter pianificare un intervento che possa dare maggiori garanzie di efficacia. Detto questo, nel primo colloquio con Matteo ho valutato che per quanto complesso l’obiettivo era raggiungibile e solo per questo motivo ho pensato: proviamoci!
Ma cerchiamo di capire insieme come sia possibile superare una difficoltà che per molti è insuperabile in così poco tempo.
1° passo: assessment.
Come ogni fobia la paura di volare non “funziona” allo stesso modo per tutti. Matteo, ad esempio, aveva già intrapreso dei brevi voli (massima durata circa un’ora e mezza) e aveva quindi sperimentato l’ansia durante un volo. L’unica strategia che aveva messo in atto fino a questo momento era semplicemente “resistere e sperare che il volo finisca presto”. Il fattore che ha aumentato drasticamente l’ansia di Matteo è stata la decisione presa insieme alla sua ragazza di fare una vacanza oltre oceano e questo comportava circa 8 ore di volo che sono sembrate subito impossibili da affrontare. Matteo ha ignorato il problema ma in prossimità del viaggio l’ansia ha iniziato ad attanagliarlo e sostenuto anche dalla sua ragazza ha deciso di provare a vincerla e, sapendo che mi occupo di ansia a 360 gradi, ha deciso di contattarmi.
Come spesso ho evidenziato in altri articoli il primo e fondamentale passo in qualsiasi percorso (terapeutico o di crescita personale) è conoscere il problema, o come diciamo noi psicologi l’assessement. Con Matteo l’assessment ha occupato la nostra prima seduta e attraverso il colloquio ho cercato di capire la natura della sua ansia: sintomi fisici, pensieri relativi alla situazione e analisi del contesto in cui l’ansia si genera. L’assessment permette di elaborare la strategia più efficacie.
2° passo: lavoro cognitivo sui pensieri.
La valutazione ha permesso di inquadrare l’ansia di Matteo e, rispetto ad altre situazioni, è emerso un impatto limitato dei sintomi fisici, mentre quello che riportava come più angosciante riguardava proprio i pensieri che lo rapiscono in quel momento. Una volta in volo, infatti, fissava il rollio delle ali del velivolo e si chiedeva: – «E se si spezzassero?», «non sarà una virata troppo netta? É successo un guasto?» e altre decine di pensieri che in un climax angosciante lo portavano solo a desiderare che il viaggio finisse presto. Come si può mettere a tacere i pensieri angoscianti? Con Matteo abbiamo attinto all’ormai imprescindibile modello ACT: soprattutto defusione e sé come contesto. Essendo una persona intelligente e motivata la psicoeducazione è bastata a fargli capire abbastanza velocemente che non siamo i nostri pensieri e che il perchè i suoi viaggi siano sempre stati così terribili è da imputare non tanto all’intrusione di questi pensieri fastidiosi e angoscianti quanto al suo tentativo di “controllarli, smentirli, contraddirli” che ha solo portato ad una maggiore fusione con essi.
Quando volo e sto male effettivamente sto pensando a quanto dovrò ancora resistere oppure a controllare che non ci siano movimenti sospetti dell’aeroplano e quando qualcuno cerca di parlarmi io m’innervosisco e vorrei essere lasciato soltanto in pace
In realtà Matteo sta fondendosi sempre di più nei suoi pensieri in quel momento e dovrebbe accorgersene e provare a far defluire i pensieri più che cercare di “razionalizzarli”. La strategia pratica messa appunto e affinata a casa tra una seduta e l’altra era:
- accorgiti che stai facendo un pensiero negativo sul volo
- non controllarlo o cercare di confutarlo ma lascialo andare semplicemente tornando a quello che stavi facendo prima, non è facile perché è “come se non ne avessi voglia”, è normale perché la tua mente è codificata per risolvere i problemi che ti riguardano ma in questo caso non hai minimamente il controllo di quel problema
- concentrati su quello che conta davvero per te in quel momento che sia guardare un film nella consolle o chiacchierare con la tua ragazza della vacanza che vi aspetta.
- 100 volte la tua mente cercherà di portarti nella tempesta d’ansia del volo e 100 volte tu lascerai andare i tuoi pensieri e tornerai a fare quello che hai deciso essere importante in quel momento.
Ero sicuro che se Matteo fosse riuscito a farlo anche solo al 40-50% il viaggio sarebbe stato molto meno terribile da come se lo prospettava.
3° passo: tattica.
Nella fase di assessment (1° passo) è emerso come l’attivazione fisica di Matteo nei momenti del volo fosse modesta; non lamentava, infatti, sintomi come iperventilazione e tachicardia, spesso presenti nella paura di volare. Questo dato unito al pochissimo tempo a disposizione mi ha spinto a rinunciare all’insegnare tecniche di rilassamento o a familiarizzare con la mindfulness (cosa importante e molto utile in altre situazioni). Ho optato per fargli imparare poche strategie comportamentali e cognitive che lui avrebbe dovuto mettere in pratica e usare sistematicamente durante il volo. Matteo doveva essere consapevole di avere tante frecce nella sua faretra e non demoralizzarsi né spaventarsi se una non fosse andata a segno, anzi metterlo proprio in conto.
In maniera molto semplificata le strategie comportamentali (le nostre frecce) erano le cose che lui aveva scelto e che poteva mettere in atto durante tutto il volo:
- Usare la consolle (scegliere un film e “impegnarsi” a seguirlo, scegliere un videogame e “impegnarsi” a giocare”, leggere, esplorare le funzioni della consolle, chiacchierare di un argomento “coinvolgente” e “impegnarsi nella conversazione”
- Alzarsi e camminare lungo l’aeroplano per sgranchirsi le gambe, andare in bagno e sciacquarsi la faccia
Questi ed altri piccoli comportamenti rappresentavano le azioni sulle quali poggiava tutto il lavoro cognitivo presentato nel passo precedente.
Matteo voleva assumere un blando ansiolitico “al bisogno” e gli ho consigliato di parlarne con il suo medico ma di concordare con lui una posologia “fissa”. In pratica ha preso la terapia 45 minuti prima di salire in aereo senza rimuginare tutto il viaggio se fosse il caso di prenderle o meno vanificando attraverso i dubbi eventuali benefici.
Dopo tre sedute intense e tanto homework tra una seduta e l’altra Matteo ha preso il suo aereo pieno di dubbi e timoroso di non farcela ma consapevole di avere molti strumenti da poter utilizzare.
Non nascondo che aspettavo anche io di avere un rimando di com’era andata e la mattina seguente un’immagine inviata tramite Whatsapp ha confermato l’atterraggio: Matteo e la sua ragazza sorridenti in aeroporto! Grande soddisfazione per tutti ed era andata proprio come ci si aspettava: un po’ di fatica ma tutto affrontabile con gli strumenti acquisiti. Nel viaggio di ritorno, inoltre, Matteo ha deciso di non prendere nemmeno l’ansiolitico da tanto si è sentito sicuro di sé durante il viaggio di andata.
La storia di Matteo ci insegna che non è giusto rinunciare alla libertà e alle cose che contano nella nostra vita a causa dell’ansia. Un percorso mirato ed efficacie può mettere tutti nelle condizioni di affrontare le proprie paure.