Ansia e attacchi di panico: la testimonianza di una lettrice del blog.
Molte persone raccontano come l’ansia e il panico facciano capolino nelle loro vite quasi all’improvviso mentre altre riferiscono di aver da sempre dovuto fare i conti con questi stati d’animo, condivido volentieri la storia di Chiara, una lettrice del blog, che ha deciso di raccontarsi.
Chi scrive è una giovane ragazza che da un po’ di tempo soffre d’ansia.
Rivolgersi ad un professionista non è sempre semplice e nemmeno immediato, specialmente se ci si trova agli esordi del disturbo d’ansia.
Nel mio caso, infatti, l’ansia non si è manifestata in maniera plateale, bensì lanciandomi qualche segnale di tanto in tanto e permettendomi di vivere una vita discreta tra un sintomo e l’altro.
Il primo attacco di panico l’ho avuto (o meglio, lui ha avuto me) verso la fine dell’estate di due anni fa. Mi trovavo in macchina, un vago malessere mi si è lentamente avvicinato e, in pochi minuti, mi ha stretta tutta: confusione, giramenti di testa. Poi un peso sullo stomaco e la sensazione di dover rigettare. Una piazzola di sosta ha visto i miei conati di vomito, la stessa piazzola che mi ha tenuto compagnia per un’ora e mezza mentre le mie mani ed avanbracci continuavano a formicolare.
I pensieri di quei lunghi momenti non erano affatto consapevoli né razionali. Principalmente avevo paura per me stessa: che cosa mi stava succedendo? Era un attacco di panico, questo lo avevo intuito, e se invece mi fossi sbagliata? Come mi sarei salvata da sola?
C’era la paura di perdere il controllo (o forse lo avevo già perso?) e una forte sensazione di distacco dalla realtà: mi trovavo nel mondo reale? Esistevano davvero tutte quelle automobili che mi sfrecciavano di fronte? E le persone potevano vedermi?
C’era la voglia di avere qualcuno vicino, ma non troppo. Niente abbracci o strette di mano. Le parole di qualcuno, in quel momento, mi sarebbero arrivate dentro. Troppo. Tanto da stare peggio, se possibile.
C’era anche il desiderio di fuggire pur sentendomi in gabbia: è possibile scappare da se stessi? Volevo portare via il mio corpo, ma ero completamente bloccata ed incapace di muovermi. Sapevo persino che, se anche fossi riuscita a scappare, la mente mi sarebbe venuta dietro: non sarei mai stata bene in nessun luogo.
In quel periodo ero in procinto di laurearmi, per cui fu facile affidare tutto il mio carico di ansia a quell’evento; in realtà gli attacchi di panico continuarono per diversi mesi, invitandomi bruscamente a riflettere sulla mia vita: che cosa mi stava accadendo? Che cosa era ormai cambiato? Cos’era quella cosa che non riuscivo più a controllare e che mi stava mandando letteralmente in tilt?
A distanza di due anni gli attacchi di panico sono drasticamente diminuiti. L’ansia ancora c’è ma, grazie all’aiuto di uno psicoterapeuta, ho imparato a non considerarla più una nemica bensì un’alleata che mi avvisa dei pericoli.
L’attacco di panico è un distacco dalla realtà che, alla fine, ti regala un lento ritorno ad essa. Ti rilancia nel mondo con consapevolezze nuove. L’attacco di panico è un momento tutto tuo che, se visto in un’ottica positiva, ti dà una grande possibilità di crescita personale. Spetta a noi capire come reagire!
Ringrazio pubblicamente Chiara per la testimonianza e mi limito a sottolineare solo un paio di passaggi particolarmente significativi:
- la fatica a ricevere aiuto «c’era la voglia di avere qualcuno vicino, ma non troppo. Niente abbracci o strette di mano. Le parole di qualcuno, in quel momento, mi sarebbero arrivate dentro. Troppo. Tanto da stare peggio, se possibile». Le persone che stanno vicino a chi soffre d’ansia non sanno cosa fare e, sicuramente in buona fede, possono fare la cosa sbagliata; è importante chiedere ed è importante soprattutto che la persona che soffre d’ansia impari a capire il tipo di aiuto di cui necessita nei momenti più critici.
- il finale della lettera dove Chiara ha imparato a rileggere i suoi attacchi di panico come una risorsa, un’occasione di crescita; chi soffre di panico può storcere il naso leggendo queste righe ma deve ricordare che Chiara ha fatto
un percorso, aiutata da un professionista e molto probabilmente quello è stato il suo modo di rielaborare i suoi pensieri rispetto al soffrire di attacchi di panico. Rileggendo queste righe dal punto di vista dell’ACT direi che c’è tanta defusione, contatto con il momento presente e azione impegnata in questa scelta.